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Una presentazione dell'oratoria ciceroniana
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Closed KoraMontemagno closed 8 years ago

KoraMontemagno commented 8 years ago

Pro Murena 60-63 Pro Sestio 96-98

KoraMontemagno commented 8 years ago

[60] Ego tuum consilium, Cato, propter singulare animi mei de tua virtute iudicium vituperare non possum; non nulla forsitan conformare et leviter emendare possim. 'Non multa peccas,' inquit ille fortissimo viro senior magister, 'sed peccas; te regere possum.' At ego non te; verissime dixerim peccare te nihil neque ulla in re te esse huius modi ut corrigendus potius quam leviter inflectendus esse videare. Finxit enim te ipsa natura ad honestatem, gravitatem, temperantiam, magnitudinem animi, iustitiam, ad omnes denique virtutes magnum hominem et excelsum. Accessit istuc doctrina non moderata nec mitis sed, ut mihi videtur, paulo asperior et durior quam aut veritas aut natura patitur [61] Et quoniam non est nobis haec oratio habenda aut in imperita multitudine aut in aliquo conventu agrestium, audacius paulo de studiis humanitatis quae et mihi et vobis nota et iucunda sunt disputabo. In M Catone, iudices, haec bona quae videmus divina et egregia ipsius scitote esse propria; quae non numquam requirimus, ea sunt omnia non a natura verum a magistro. Fuit enim quidam summo ingenio vir, Zeno, cuius inventorum aemuli Stoici nominantur. Huius sententiae sunt et praecepta eius modi. Sapientem gratia numquam moveri, numquam cuiusquam delicto ignoscere; neminem misericordem esse nisi stultum et levem; viri non esse neque exorari neque placari; solos sapientes esse, si distortissimi sint, formosos, si mendicissimi, divites, si servitutem serviant, reges; nos autem qui sapientes non sumus fugitivos, exsules, hostis, insanos denique esse dicunt; omnia peccata esse paria; omne delictum scelus esse nefarium, nec minus delinquere eum qui gallum gallinaceum, cum opus non fuerit, quam eum qui patrem suffocaverit; sapientem nihil opinari, nullius rei paenitere, nulla in re falli, sententiam mutare numquam. XXX [62] Hoc homo ingeniosissimus, M Cato, auctoribus eruditissimis inductus adripuit, neque disputandi causa, ut magna pars, sed ita vivendi. Petunt aliquid publicani; cave ne quicquam habeat momenti gratia. Supplices aliqui veniunt miseri et calamitosi; sceleratus et nefarius fueris, si quicquam misericordia adductus feceris. Fatetur aliquis se peccasse et sui delicti veniam petit; 'nefarium est facinus ignoscere. At leve delictum est. 'Omnia peccata sunt paria. Dixisti quippiam: 'fixum et statutum est. Non re ductus es sed opinione; 'sapiens nihil opinatur. Errasti aliqua in re; male dici putat. Hac ex disciplina nobis illa sunt: 'Dixi in senatu me nomen consularis candidati delaturum. Iratus dixisti. 'Numquam' inquit 'sapiens irascitur. At temporis causa. 'Improbi' inquit 'hominis est mendacio fallere; mutare sententiam turpe est, exorari scelus, misereri flagitium. [63] Nostri autem illi (fatebor enim, Cato, me quoque in adulescentia diffisum ingenio meo quaesisse adiumenta doctrinae) nostri, inquam, illi a Platone et Aristotele, moderati homines et temperati, aiunt apud sapientem valere aliquando gratiam; viri boni esse misereri; distincta genera esse delictorum et disparis poenas; esse apud hominem constantem ignoscendi locum; ipsum sapientem saepe aliquid opinari quod nesciat, irasci non numquam, exorari eundem et placari, quod dixerit interdum, si ita rectius sit, mutare, de sententia decedere aliquando; omnis virtutes mediocritate quadam esse moderatas.

Traduzione [60] L'altissima opinione che io, Catone, mi sono formato dentro di me della tua virtù, mi pone nell'impossibilità di biasimare l'atteggiamento che nella tua saggezza adotti, ma rettificare in qualche particolare e apportarvi qualche leggero ritocco probabilmente lo potrei. "Non avviene spesso che tu commetta errori", diceva quel venerando maestro al forte guerriero "ma sì che ne commetti, potrei correggerli". Ma non io te, sarei assolutamente nel vero dicendo che tu di errori non ne commetti mai e che in nessuna circostanza ti comporti in modo tale da pensare che tu abbia bisogno di una vera correzione, piuttosto che di un leggero ammorbidimento. Perché è stata proprio la tua natura a indirizzarti alla virtù, all'austerità, alla moderazione, alla grandezza d'animo, alla giustizia, in una parola a farti grande ed eccelso in rapporto a tutte le virtù. A queste doti si è aggiunto, però, un sistema filosofico che non conosce né la moderazione né la dolcezza, ma è, almeno a mio parere, un po' più rigido e duro di quanto lo consenta la realtà della vita o la naturale indole dell'uomo. E dal momento che questa mia arringa non devo tenerla né davanti a una folla ignorante, né in una riunione di rozzi contadini, mi prenderò un po' di libertà e mi occuperò di quegli studi liberali che voi, come me, conoscete e amate. Sappiate, signori giurati, che queste doti che noi vediamo in Catone, fuori dal comune e più che umane, sono in lui innate; quelle invece di cui talora lamentiamo la mancanza, derivano tutte non già da inclinazioni naturali, ma dal suo maestro. Visse infatti un tempo un uomo dal grande ingegno, Zenone, e i seguaci delle sue dottrine vengono chiamati Stoici. Ecco alcuni esempi di sue massime e suoi insegnamenti: il saggio non subisce mai l'influenza di nessuno e né perdona mai la colpa di nessuno; non c'è uomo compassionevole che non sia sciocco e superficiale; non è degno di un vero uomo lasciarsi vincere e placare dalle preghiere; solo i saggi sono belli, pur se completamente deformi, ricchi, pur se assolutamente indigenti re, se pur in stato di schiavitù; noi, invece, che saggi non siamo, ecco come ci chiamano: schiavi, ribelli, esuli, nemici e per finire pazzi. E continuano: tutte le colpe sono uguali; ogni mancanza è un'orribile scelleratezza, e strozzare senza necessità un gallo che ci vive in casa, equivale, come delitto, strozzare il proprio padre; l saggio non fa mai delle semplici congetture, non si pente mai, non sbaglia mai, non cambia mai opinione. Eccola dottrina fatta propria con vero ardore da un uomo pieno di ingegno qual è Marco Catone sotto l'autorevole guida di dottissimi maestri, e non già per farne oggetto di discussione filosofiche, ma per tradurle in sostanza di vita. Gli appaltatori delle imposte presentano elle richieste: "Bada bene che l'influenza personale non abbia alcun peso". Vengono a chiedere supplichevolmente aiuto dei poveracci, colpiti da qualche disgrazia: "Sarai uno scellerato e un criminale se farai qualcosa sotto la spinta della compassione". Uno confessa una sua colpa e di essa chiede perdono: "È un terribile misfatto perdonare!". E all'obiezione che si tratta di una colpa leggera: "Tutte le mancanze sono uguali". Hai detto qualcosa: "È una decisione definitiva e irrevocabile". A parlare non ti ha indotto la realtà delle cose, ma una congettura: "Il saggio non fa congetture". Ti sei sbagliato su qualche cosa: se la prende come per un insulto. È da questo sistema filosofico che ci vengono affermazioni come la seguente: "Ho detto in senato che avrei sporto denuncia contro un candidato al consolato". L'hai detto in un momento d'ira: "Giammai", egli ribatte "il saggio si adira". Ma allora l'hai detto sotto la spinta delle circostanze: "No" egli ribatte "è proprio di un disonesto ingannare con la parola è una vergogna mutare opinione, è un delitto cedere alle preghiere, è un'infamia avere compassione". Questi nostri maestri, invece (sì, Catone, ti confesserò che anch'io, quand'ero giovane, non avendo troppa fiducia nelle mie doti naturali, cercai l'aiuto della filosofia); quei nostri maestri, ripeto, che si rifanno a Platone e Aristotele, sono dei modelli di moderazione e misura; ecco alcune loro massime: sul saggio il prestigio esercita talora la sua influenza; per l'uomo buono è un dovere essere misericordioso; di colpe ci sono diverse categorie e quindi disuguali sono le pene; l'uomo coerente nei suoi principi è sensibile al perdono; persino in saggio non di rado fa congetture su ciò che ignora; qualche volta si fa prendere dall'ira; inoltre si lascia vincere e placare dalle preghiere; talora, sempre che così sia meglio, rettifica la sua affermazione e capita pure che cambi opinione; tutte le virtù trovano il loro temperamento nel giusto mezzo.

EnricoMiccoli commented 8 years ago

@KoraMontemagno metti i testi nel punto giusto, correggi i refusi e modifica come descritto in #19.

KoraMontemagno commented 8 years ago

Pro Sestio 96-98 [96] Nimium hoc illud est quod de me potissimum tu in accusatione quaesisti, quae esset nostra 'natio optimatium'; sic enim dixisti. rem quaeris praeclaram iuventuti ad discendum nec mihi difficilem ad perdocendum; de qua pauca, iudices, dicam, et, ut arbitror, nec ab utilitate eorum qui audient, nec ab officio vestro, nec ab ipsa causa P. Sesti abhorrebit oratio mea. Duo genera semper in hac civitate fuerunt eorum qui versari in re publica atque in ea se excellentius gerere studuerunt; quibus ex generibus alteri se popularis, alteri optimates et haberi et esse voluerunt. qui ea quae faciebant quaeque dicebant multitudini iucunda volebant esse, populares, qui autem ita se gerebant ut sua consilia optimo cuique probarent, optimates habebantur. [97] Quis ergo iste optimus quisque? numero, si quaeris, innumerabiles, neque enim aliter stare possemus; sunt principes consili publici, sunt qui eorum sectam sequuntur, sunt maximorum ordinum homines, quibus patet curia, sunt municipales rusticique Romani, sunt negoti gerentes, sunt etiam libertini optimates. numerus, ut dixi, huius generis late et varie diffusus est; sed genus universum, ut tollatur error, brevi circumscribi et definiri potest. omnes optimates sunt qui neque nocentes sunt nec natura improbi nec furiosi nec malis domesticis impediti. esto igitur ut ii sint, quam tu 'nationem' appellasti, qui et integri sunt et sani et bene de rebus domesticis constituti. Horum qui voluntati, commodis, opinionibus in gubernanda re publica serviunt, defensores optimatium ipsique optimates gravissimi et clarissimi cives numerantur et principes civitatis. [98] Quid est igitur propositum his rei publicae gubernatoribus quod intueri et quo cursum suum derigere debeant? id quod est praestantissimum maximeque optabile omnibus sanis et bonis et beatis, cum dignitate otium. hoc qui volunt, omnes optimates, qui efficiunt, summi viri et conservatores civitatis putantur; neque enim rerum gerendarum dignitate homines ecferri ita convenit ut otio non prospiciant, neque ullum amplexari otium quod abhorreat a dignitate. Huius autem otiosae dignitatis haec fundamenta sunt, haec membra, quae tuenda principibus et vel capitis periculo defendenda sunt: religiones, auspicia, potestates magistratuum, senatus auctoritas, leges, mos maiorum, iudicia, iuris dictio, fides, provinciae, socii, imperi laus, res militaris, aerarium.

Traduzione Davvero sorprendente codesta "razza degli ottimati" (così tu stesso hai detto), della quale con particolare insistenza, nella tua accusa, mi hai chiesto che cosa sia! Tu mi chiedi una cosa che è preziosa a sapersi per i giovani, facile per me a spiegare. Brevi parole dirò a riguardo dunque, o giudici: e credo che non saranno fuori luogo, né pel vantaggio di chi ascolta, né per l'ufficio vostro, né per la causa di Sestio. Sempre in Roma ci furono due categorie di persone, fra coloro che si son dati alla vita politica con il proposito di condurvisi nel modo migliore: l'una fu, e volle essere qualificata popolare; l'altra, degli ottimati. Popolari, quelli che attuavano predicavano cose che sapevano gradite alla moltitudine; ottimati, quelli che agivano in modo da provocare sulla propria condotta l'approvazione dei cittadini migliori. Ma chi sono questi cittadini migliori? Sono, se vuoi saperlo, innumerevoli (senza di che non ci reggeremo in piedi): sono i più autorevoli membri del senato, son coloro che ne seguono l'indirizzo, coloro che appartengono agli ordini maggiori e ai quali è aperto l'accesso alla curia; abbondano tra i cittadini romani dei municipi e delle campagne, tra gli uomini di affari, tra i figli stessi dei liberti. Per la quantità, come dissi, dei suoi appartenenti, questa categoria è ampia e diffusa; qualitativamente, per togliere di mezzo ogni equivoco, può essere rapidamente circoscritta e definita. Sono ottimati tutti coloro che non fanno del male, che non sono per natura disonesti o squilibrati, né impacciati da domestiche difficoltà. Son questi, dunque, coloro che formano quella che tu chiamasti "una razza"; uomini integri, moralmente sani, di benestante famiglia. E coloro che nel governo dello stato secondano la volontà, gli interessi e le opinioni di quelli fautori degli ottimati e ottimati essi stessi, sono considerati fra i cittadini più autorevoli e illustri, e come i maggiorenti della città. Qual è il fine a cui devono tendere i reggitori della cosa pubblica, qual è l'indirizzo del loro cammino? È quello che appare il più nobile, il più desiderabile per ogni uomo di buon senso, probo, fortunato: una vita tranquilla e dignitosa. Quanti vogliono ciò, sono da considerarsi ottimati; quanti lo realizzano, uomini di primo piano e protettori della città. Non conviene, infatti, esser trascinati, nel gestire gli affari, da un senso tale dell'autorità propria che escluda la quiete dello spirito, né aggrapparsi a un amor di quiete siffatto che ripugni alla dignità. Di questa dignità serena, ecco le fondamenta, ecco gli elementi costitutivi, che le persone più elevate debbono difendere anche con il rischio della vita: i principi religiosi, gli auspici, la funzione dei magistrati, l'autorità del senato, le leggi, la tradizione, i tribunali, la giustizia, la fedeltà agli impegni, le province, gli alleati, il prestigio nazionale, l'esercito, l'erario.